REATI AMBIENTALI, LA CASSAZIONE METTE LA PAROLA FINE ALLE ACCUSE DEL “SAN BARTOLO”

 

LA SENTENZA

Con la recente motivazione della sentenza n. 3091/2016, la Terza Sezione della Cassazione Penale ha decretato la fine di una lunga vicenda giudiziaria che ha visto un cittadino russo ed un cittadino estone indagati e imputati di molteplici gravi reati ambientali commessi, secondo quanto sostenuto dall’accusa, nel celeberrimo Parco Naturale del San Bartolo a Pesaro.

IL CASO

Nel 2009, infatti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Pesaro aprì un fascicolo a carico dei due importanti e noti imprenditori  con l’accusa di aver eseguito, in area sottoposta a particolari e rigidi vincoli ambientali e paesaggistici, nel cuore del Parco Naturale del San Bartolo, una strada di congiungimento diretto al mare di una villa privata e una area destinata, sempre in prossimità della villa, ad eliporto; tutto ciò in assenza di autorizzazioni e in violazione dei vincoli di tutela dei beni paesaggistici e culturali.

L’indagine, condotta con il coinvolgimento di tecnici, sorvoli con elicotteri, ispezioni di vario genere, sequestri , si concluse con il rinvio a giudizio dell’amministratore del Fondo Immobiliare russo proprietario della villa e dell’amministratore della società che conduceva in locazione il bene con ben sei capi di imputazione per vari reati ambientali.

Il fatto destò una vasta eco, anche mediatica, che vide la stampa citare il coinvolgimento di personalità di spicco della politica russa a cui veniva ricondotto l’acquisto di Villa Rudas, di proprietà dell’ex manager di Luciano Pavarotti.

Il processo di primo grado, svoltosi a Pesaro, si concluse con severe condanne, come richiesto dalla pubblica accusa: tre anni di reclusione al rappresentante della società conduttrice e due anni e otto mesi al legale rappresentante del fondo proprietario dell’area.

LA DIFESA

Gli Avvocati Marco Ginesi e Iacopo Casini Ropa, incaricati della difesa nel processo di appello, nonostante la richiesta della Procura Generale di integrale conferma della pronunzia di del Tribunale di Pesaro, ottennero dalla Corte di Appello di Ancona un primo e importante ridimensionamento delle accuse.

La sentenza decise infatti la prescrizione di quattro dei sei capi di imputazione, ritenuti integranti ipotesi di natura contravvenzionale, nonché per l’assoluzione da un ulteriore capo di imputazione così rideterminando la pena e concedendo le attenuanti generiche a entrambi gli imputati.

La Suprema Corte, infine, sempre con il patrocinio difensivo dagli avvocati Iacopo Casini Ropa e Marco Ginesi, ha praticamente demolito l’intero castello accusatorio così come disegnato dalla Procura per quanto concerneva i reati ambientali, riqualificando l’unico reato ambientale residuo quale mera contravvenzione di cui, pertanto, ha dichiarato la prescrizione.

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